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Intervento Dott. Giuseppe Mansur Baudo COREIS -Festival DSC 30.01.2016

Mansur Giuseppe Baudo

Comitato Etico per la Finanza Islamica COREIS (Comunità Religiosa Islamica Italiana)

Intervento di presentazione della Finanza Islamica al Festival della Dottrina Sociale della Chiesa di Frosinone, edizione del 2016

La Finanza Islamica non va identificata soltanto con la regolamentazione bancaria nata per iniziativa dell’OCI (l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica) negli anni settanta del secolo scorso, ma in senso lato, anche con alcuni principi economici ancora presenti nella sensibilità religiosa di molti musulmani che vivono rispettosi delle leggi e lavorano operosi in Occidente, e anche in Italia. Il primo aspetto che mi preme sottolineare è quindi una sensibilità di carattere ecumenico, di riconoscimento e quindi tutela, della diversità contemplata nelle diverse dottrine religiose, che vanno intese come complementari e non opposte le une alle altre. La prima costituzione islamica fu la Carta di Medina, del 622, sottoscritta dal Profeta Muhammad nella casa del suo Compagno Anas, e fu redatta in concertazione con i sapienti delle diverse componenti religiose, in base al consensus (in arabo ijma) tra i rappresentanti di tutte le tribù che godevano della cittadinanza, non solo musulmani. Grande importanza ricoprivano a Medina le comunità ebraiche, e i rapporti con la Cristianità, che se pure quasi assenti in città, erano fiorenti ad esempio con l’Abissinia e il suo Negus, dove i Compagni del Profeta avevano trovato ospitalità e protezione piena, nel riconoscimento della verità della Profezia, ancor prima di emigrare, quando erano perseguitati alla Mecca. La operosità e l’intrapresa comune, l’investimento produttivo nell’interesse di tutti, tipici della finanza islamica e in generale della finanza ispirata a principi religiosi, sono il contrario della tesaurizzazione dei depositi improduttivi, una ricchezza che smette di essere utile, all’origine del prestito usurario e della rendita di posizione, strumenti per perseguitare i più deboli, vietati anche nell’Ebraismo e nel Cristianesimo originari.

In questo nobile contesto si può citare la Parabola dei Talenti nel Vangelo di Gesù, che esprime la quintessenza di questo principio islamico di mettere a frutto i propri beni alla ricerca del “falah”, del favore divino diffuso e partecipato da tutti, nella Provvidenza. La produttività di un investimento, in quest’ottica religiosa, non è esclusivamente il calcolo della convenienza finanziaria e dei ritorni monetari di interesse, ma dà luogo a occasioni di collaborazione e di condivisione di intenzioni e progetti, assunzioni di nuovi collaboratori, acquisizioni di meriti e competenze, scambi, alleanze, tutte realtà in cui si manifestano le benedizioni divine.

A proposito delle benedizioni, per fare una digressione storica, è con questo termine “il Benedetto”, “al Baruk”, o più esattamente “al Mubarak”, che nel medioevo, epoca ricca di feconde relazioni con il mondo islamico, veniva definito il Califfo, forse il più ricco che si conoscesse tra gli uomini e, contemporaneamente, l’esempio per tutti i credenti della sottomissione pacificata alla volontà di Dio. E’ vero che, già allora, non tutti i Califfi furono esemplari, ma, ora come allora, quel che è importante ricordare è che ogni musulmano in quanto fatto “a immagine del Misericordioso”, è Califfo (parola che significa “vicario di Dio in terra”) e amministratore di sostanze che, grandi o piccole che siano, appartengono soltanto al Creatore. Vi è una corrispondenza precisa, da un ordine di realtà all’altro, tra i tesori della conoscenza divina, vera ricchezza contenuta nel cuore dei credenti, e la miseria delle ricchezze esteriori le quali, a causa dell’invidia suggerita dall’Avversario, divengono facilmente tentazioni e occasioni di abuso e violenza tra gli uomini.

Invertire la gerarchia delle cose attribuendo una importanza fuori luogo alle ricchezze materiali conduce infine a sentirsi proprietari anche di cose di cui non ci può impossessare, se non violandone la sacralità, per usarle come scudi di appartenenza contro il prossimo di cui si misconosce la stessa origine divina inviolabile.

E’ comprensibile l’attenzione estrema di cui gode l’economia in questo nostro tempo, in cui le tendenze egoistiche e conflittuali non sembrano essere più frenate dalla protezione di una saggezza di ordine superiore, che sappia ordinare, nelle varie civiltà e tra di esse, anche gli ambiti materiali e quantitativi della vita, senza perdere di vista i principi universali che vi si riflettono esattamente, secondo la loro speciale regola e misura.

La possibilità di una convergenza nella testimonianza tra la prospettiva autentica della finanza islamica e la dottrina sociale della Chiesa viene oggi particolarmente suggerita ai nostri occhi da Papa Francesco nella sua condanna degli atteggiamenti prevaricatori in economia, della cosiddetta “cultura dello scarto” e in generale dell’insensibilità e dell’aridità dei cuori dei potenti della terra.

Ancor prima, nel 2010, in occasione della Enciclica Papale Caritas in Veritate, si è costituito in Italia lo Shariah Board COREIS, Comitato Etico per la Finanza Islamica, nato per rispondere operativamente all’invito universale esteso anche ai fedeli delle altre religioni, di contribuire dal punto vista religioso, nella mutua assistenza e nella consultazione reciproca, a una reazione necessaria alla crisi visibile in una economia priva di principi e riferimenti spirituali. E’ con questa finalità che si sono riuniti musulmani italiani, teologi ed economisti, per offrire liberamente alle Istituzioni e alle Banche la conoscenza maturata della Shariah, la Legge Islamica e aderire a inviti di tale ampiezza e respiro, come quello di oggi qui a Frosinone, non per cambiare il mondo, ma per approfittare dei richiami che Dio invia agli uomini di buona volontà anche, e soprattutto, nella difficoltà della prova e nei momenti di crisi.

Facile sarebbe ignorare tali prove per abbracciare occasionali prospettive esotiche con entusiasmo irresponsabile per poi doversi immediatamente ricredere e ricercare nuove chimere.

Ma non sarà la finanza islamica a sostituirsi alle vecchie utopie del novecento e a risolvere, come per incanto e senza sacrificio, congiunture problematiche come le asimmetrie tra il nord e il sud, l’Oriente e l’Occidente, le speculazioni in attività criminose, la crisi del lavoro, il disastro ecologico, lo sfruttamento dei poveri e la mancanza di carità dei ricchi. Quello che si può fare è cercare di assimilare, per mettere a disposizione della comunità nella quale si vive, i tesori di sapienza e di virtù contenuti nelle religioni e travisati in malo modo dai fondamentalisti senza misericordia, la cui finalità oscura sembra proprio quella di screditare tali possibilità di conoscenza nel loro valore più nobile e prezioso.

E questo lavorando all’unisono tra Ebrei, Cristiani e Musulmani, così da contrastare il montare di una opinione creata ad arte dai nemici della verità, fomentatori di scandali e di scisma tra fratelli nell’Unico Dio di Abramo.

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