Intervento Prof. Vincenzo Antonelli Festival DSC 30.01.2016

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La misericordia del bene comune

di Vincenzo Antonelli

 

La dedica dell’anno giubilare alla misericordia ci chiede non solo una conversione personale, ma un rinnovato impegno nella costruzione del bene comune.

L’incontro. La misericordia coinvolge la nostra esperienza nella sua interezza e complessità e, dunque, anche e soprattutto nella relazione con gli altri. Nell’incontro con l’altro possiamo e dobbiamo sperimentare la misericordia.

Pertanto la natura relazionale accomuna tanto il bene comune quanto la misericordia. È nella relazione con l’altro che possiamo costruire un bene comune “misericordioso”.

Le strade. La dimensione sociale ci offre, difatti, continue occasioni per concretizzare la misericordia. Così come è accaduto al samaritano sulla strada da Gerusalemme a Gerico, oggi è sulle strade delle nostre città che la misericordia ci chiama ad operare.

La misericordia costituisce, dunque, una categoria sociale: interessa la polis. Sicché essa può orientare la politica quale strumento di promozione del bene comune: la misericordia è politica.

La città. Avere un cuore misericordioso - secondo l’etimologia latina della parola “misericordia” - sul piano sociale vuol dire scovare le “miserie” nella città, conoscere i “miseri” che vivono nella città, spesso in luoghi nascosti ai nostri occhi - negli interstizi dei palazzi, nei vuoti dei ponti, nel sottoterra della metropolitana -, negli spazi che non è consueto frequentare - ospedali, carceri, fabbriche, stazioni, periferie -.

La misericordia ci chiede innanzitutto di guardare alla realtà, all’oggi e al quotidiano delle nostre città, e di impegnarci nella realizzazione di un bene comune “reale”, incarnato nella storia.

L’ascolto. Solo muovendo dalla realtà, dall’ascolto dei bisogni provenienti dalla società è possibile dare risposte adeguate. Ciò deve portarci a realizzare un bene comune “possibile” che non insegue astratte ideologie. Al contempo le risposte devono essere rispettose delle differenze e del pluralismo che caratterizzano la società alimentando in tal modo un bene comune “plurale”.

La dignità. La misericordia chiede di prenderci cura dell’altro, impegno che oggi si traduce nel restituire la dignità a coloro che l’hanno persa, ai “miseri” del nostro tempo: i malati, i carcerati, i migranti, gli sfruttati, gli anziani, i sottopagati, i disoccupati, gli emarginati, gli esclusi, gli indifesi. Si tratta delle vittime delle nuove “miserie”: la malattia, il lavoro nero o sottopagato, la perdita di occupazione, la guerra, la povertà, la solitudine, l’abbandono, l’esclusione sociale, lo sfruttamento, l’indifferenza.

Seguendo la via della misericordia il bene comune va perseguito laddove sono i miseri e le miserie. Il bene comune diventa misericordioso quando è volto a restituire la dignità ai nuovi “miseri”.

Al contempo la misericordia non ci permette di scegliere le “miserie” e i “miseri” di cui prendersi cura. È la comunità con la sua complessità e il suo pluralismo che ci interpella, che ci spinge ad essere misericordiosi. Il rischio è di rimanere indifferenti davanti alle “miserie” che quotidianamente incontriamo sulle strade delle nostre città.

Non solo è necessario rimuovere le cause storiche e reali di queste miserie, ma è sempre più urgente la promozione e la difesa di quei diritti umani che danno contenuto alla dignità di ciascuno. In tal modo la promozione della dignità della persona diventa centrale nella costruzione del bene comune “misericordioso”.

La cura. La misericordia mette insieme ispirazione ed opere. La misericordia non può fermarsi ad una osservazione delle “miserie”, ad una loro denuncia pur necessaria e doverosa, ma deve animare il nostro impegno concreto, deve diventare il pensiero di un’azione positiva, del servizio verso l’altro.

A sua volta la cura dell’altro non può risolversi solo in un comportamento individuale, ma in un coinvolgimento della comunità. La misericordia trascende l’impegno individuale e diventa fondamento della giustizia sociale, della costruzione della casa comune.

La responsabilità. La misericordia bisogna viverla tanto nella propria vita quanto nell’agorà pubblica. La cura dell’altro ci rende allo stesso tempo “responsabili” verso l’altro, impone un’assunzione di responsabilità.

Una responsabilità che trascende l’agire individuale e innerva l’agire comune. La misericordia ci chiede di essere “responsabili”. Lo chiede anche a quanti ricoprono incarichi pubblici: la misericordia costituisce il miglior antidoto per contrastare la corruzione.

 

La conversione. La misericordia ci pone degli interrogativi, ci chiede una conversione personale, di vivere una spiritualità del sociale, di guardare la società con gli occhi misericordiosi di dio. Solo partendo da un cambiamento e da una scelta personale si può contribuire alla costruzione di un bene comune misericordioso.

La misericordia conferma e rafforza la natura di azione ispirata dell’insegnamento sociale della Chiesa: non un aggregato di nozioni, di direttive, un astratto magistero, ma un intervento nella realtà. La misericordia ci chiede, dunque, una progettualità concreta.

La porta. Se nell’anno giubilare l’invito è quello ad attraversare le porte della misericordia per una conversione personale, la misericordia quale ispirazione dell’agire sociale ci deve indurre a riattraversare le medesime porte verso la città. Un pellegrinaggio che ci porti ad uscire in città, a percorrere le strade della città, per vivere un giubileo delle città.

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