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Intervento Prof. Giuseppe Sabella Direttore Think In Festival DSC 30.01.2016

Le opportunità del Nuovo Welfare dopo il crollo dello Stato Sociale

di Giuseppe Sabella *

Con l’avvento sulla scena politica di David Cameron e della sua Big Society (maggio 2010), il dibattito europeo sul Welfare – inteso come quel rapporto tra stato – partito – corpo intermedio – persona che si concreta in servizi, opportunità, diritti e doveri – ha conosciuto uno sviluppo importante, anche perché incentivato dalla difficile situazione economica e dalla mancanza di risorse, tanto che se ne rovescia di fatto il paradigma tradizionale basato sull’antinomia pubblico-privato classica (la destra attenta al privato con poca attenzione al sociale, la sinistra al Welfare State).

E’ stato proprio il conservatore inglese ad introdurre importanti segnali di cambiamento stimolando le comunità locali e il Terzo Settore nella gestione dei trasporti pubblici, della raccolta dei rifiuti, della conservazione dei parchi e anche dell’accesso alla banda larga di internet: è questo il Privato-Sociale, che lavora per il bene comune. I beni comuni non sono né pubblici, né privati. Sono, appunto, comuni.

Il tema da allora è risuonato a livello internazionale, ripreso dai maggiori organi di informazione (compresi il Financial Times e il New York Times), avendo anche un importante riflesso italiano perché David Cameron e il suo Consigliere Phillip Blond dichiarano più volte che il loro modello di riferimento, la vera Big Society è l’Italia! Questo in virtù del nostro tessuto sociale molto ricco nella sua forma associazionistica.

L’Italia è paese da lungo tempo sensibile all’attivazione nel mondo privatistico di attività a sostegno delle questioni sociali e dei servizi alla persona: il Privato-Sociale vale oltre il 4% del pil.

Dopo la Riforma del Titolo V della Costituzione (2001), è stata la riforma “Biagi” (d.lgs. n. 276/03) a mutare sostanzialmente il quadro previgente in materia di mercato del lavoro, riconoscendo un ruolo quanto mai rilevante ai cosiddetti corpi intermedi e, nella fattispecie, al Sindacato e alle Associazioni di impresa. Meno legge, più contratto: questa è la filosofia sussidiaria – tanto cara alla dottrina sociale della Chiesa – che anima il Nuovo Welfare di cui Marco Biagi è stato il grande ispiratore.

Così va visto il passaggio dal Welfare State al Nuovo Welfare (o Welfare Contrattuale) di cui il welfare aziendale è un aspetto. Per qualcuno, ciò segna la fine dello Stato Sociale Universalistico, ma non è così: in primis, il vecchio Stato Sociale è in gran parte la fonte del nostro debito pubblico; in secondo luogo, il Nuovo Welfare è portatore di novità che – questo il problema – i più non conoscono.

La contrattazione aziendale è proprio il modo e il luogo ove far nascere nuove forme di mutualità: è questo il Welfare Contrattuale che produce welfare aziendale, ovvero in un prodotto/servizio che l’azienda realizza per i suoi dipendenti.

Ci ha pensato, anche, il legislatore – con la recente manovra finanziaria – a incentivare tale prassi: la legge di stabilità 2016 presenta infatti agevolazioni fiscali importanti che riguardano il salario di produttività (ovvero straordinari, premialità varia, superminimi, etc...) e il welfare aziendale.

In sintesi, la legge di stabilità ci dice che, in presenza di un accordo che regoli tra le parti la produttività aziendale, il corrispondente salario di produttività sarà tassato solo del 10% per quel che riguarda i redditi fino a 50.000€ (la corrispettiva aliquota marginale per un reddito lordo di 50.000€ anno è del 38%); in alternativa, se la somma corrispondente al salario di produttività fosse investita in un intervento di welfare aziendale si azzererà completamente il cuneo fiscale (irpef + contributo previdenziale).

Ecco che le aziende, così incentivate, possono recitare un ruolo importante. Ad oggi, buone prassi di welfare aziendale vengono per lo più dalla grande impresa e dalle multinazionali. Stante tuttavia l’agevolazione fiscale, è ragionevole – oltre che auspicabile – pensare che la prassi si allarghi anche ad aziende meno dimensionate.

Resta fermo che il grande vantaggio fiscale passa attraverso la contrattazione di secondo livello e gli accordi aziendali, su cui gli attori sociali – in particolare l’impresa – sono chiamati a crescere.

 

* Giuseppe Sabella è esperto di relazioni industriali ed è Direttore di Think-in (@sabella_thinkin)

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